Tassazione minima globale: arriva l’accordo al G7
Finalmente dopo anni di trattative e dopo due mesi dalla proposta presentata ufficialmente da Janet Yellen, Segretario al Tesoro americano, i Paesi del G7, ossia Stati Uniti, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia, Italia e Canada, hanno raggiunto un accordo storico su una tassazione minima globale al 15% per le grandi imprese multinazionali.
Cosa troverai in questo articolo:
Il contesto
Per tassazione minima globale si intende l’introduzione di un’aliquota globale minima sui profitti delle multinazionali. Il principale obiettivo di tale provvedimento è quello di scoraggiare tutte le pratiche di alterazione della concorrenza note come dumping fiscale. Tale pratica costa alle grandi economie occidentali (e non solo) miliardi di dollari all’anno di mancati incassi. Paesi come Irlanda, Paesi Bassi e Lussemburgo, ad esempio, hanno dei regimi fiscali estremamente competitivi e offrono delle aliquote fiscali molto basse rispetto ai competitor europei. È per questo motivo che le grandi multinazionali stabiliscono la loro sede fiscale in suddetti Paesi. Questo, però, genera un meccanismo di concorrenza sleale andando a penalizzare i Paesi in cui la tassazione è più elevata.
La proposta iniziale di istituire una tassazione minima globale al 21% è stata rivista al ribasso e si è raggiunto un accordo su un’aliquota del 15%.
I ministri delle finanze dei Paesi del G7 sono molto soddisfatti dell’accordo raggiunto. Janet Yellen sottolinea che tale accordo porterà ad una maggiore equità per i lavoratori. I suoi colleghi Rishi Sunak, Cancelliere Dello Scacchiere inglese (il Ministro delle Finanze), e Bruno Le Maire, Ministro delle Finanze francese festeggiano. Anche il Ministro dell’Economia italiano Daniele Franco sottolinea l’importanza di tale accordo e gli fa eco Mario Draghi rimarcando che si tratta di un passo storico.
Come funziona la tassazione minima globale?
L’aliquota minima globale si applica ai profitti esteri. I governi potranno ancora applicare l’aliquota locale che desiderano, ma se le aziende pagano aliquote più basse in un determinato Paese, i governi nazionali potranno ricaricare le tasse di tali aziende all’aliquota minima, eliminando il vantaggio di spostare i profitti.
Il meccanismo è abbastanza complesso, ma cerchiamo di spiegarlo con un esempio.
Prendiamo la generica multinazionale americana ABC che fattura miliardi di dollari all’anno e genera profitti positivi. Supponiamo che tale multinazionale paghi le tasse sui profitti in Irlanda, Paese in cui l’aliquota è al 12,5%. Con la proposta di Janet Yellen il governo americano andrebbe a tassare la differenza tra quanto pagato in Irlanda e la tassa minima del 15%, incassando così il 2,5% di differenza.
Un altro esempio è quello proposto da Milena Gabanelli. In questo caso si parlava ancora di tassazione al 21% considerando il caso di Facebook, ma il principio è esattamente lo stesso. Facebook paga le imposte in Irlanda usufruendo di un’aliquota al 12,5%. Se la tassazione minima fosse al 21%, Facebook dovrebbe versare al fisco americano la differenza e cioè l’8,5%. Lo stesso accadrebbe con gli altri Paesi. Questo meccanismo mira a scoraggiare lo spostamento di profitti altrove.
Certamente il meccanismo è molto più complesso e tali esempi servono solamente per semplificarne la spiegazione e dare un’idea generale del suo funzionamento.
Secondo l’EU Tax Observatory, con tale accordo le entrate fiscali dei Paesi europei potranno aumentare tra 13% e il 50%. Con l’aliquota al 15% i Paesi UE incasserebbero circa 50 miliardi all’anno. L’Italia, ad esempio, tassando le sue multinazionali che versano imposte sui profitti in Lussemburgo, Irlanda, Paesi Bassi, ecc., incasserebbe tra gli 8 e i 10 miliardi di dollari ogni anno.
Le difficoltà
I prossimi passi consistono nella presentazione della proposta al G20, quest’anno presieduto dall’Italia. L’obiettivo è quello di allargarla anche agli altri Paesi industrializzati durante il vertice che si terrà a Venezia a luglio.
Sebbene i Paesi del G7 abbiano un peso economico e politico molto rilevante, sarà difficile convincere tutti, soprattutto quei Paesi che utilizzano tali pratiche per attrarre capitali.
Per quanto riguarda l’unione Europea serve una decisione unanime di tutti gli Stati membri. Tuttavia, alcuni Paesi, come Irlanda e Cipro, sono già pronti a mettere il veto.
Insomma, la strada è ancora lunga e le trattative si prospettano molto complicate, ma questo potrebbe essere un primo passo verso un’Unione Europea anche dal punto di vista fiscale. La cosa certa è che passerà sicuramente ancora qualche anno, prima di giungere all’effettiva implementazione della soluzione. Non ci resta che attendere gli sviluppi futuri.