Figura lavorativa pressione (Canva foto) - www.managementcue.it
Quando “fingere professionalità” diventa un costo emotivo difficile da sostenere: lo studio sulle conseguenze dell’immagine professionale.
Nella cultura del lavoro contemporanea, l’immagine professionale ha assunto un’importanza cruciale. La cura dell’aspetto, del tono di voce, persino delle emozioni espresse diventa parte integrante della prestazione lavorativa. Questa attenzione continua a come si appare e ci si comporta, se da un lato può favorire il successo, dall’altro può generare effetti collaterali meno visibili ma profondamente impattanti.
Molti lavoratori, soprattutto in ambienti competitivi e ad alta esposizione relazionale, si trovano a dover recitare ruoli emotivi per tutto l’arco della giornata.
Il paradosso è evidente: mentre si costruisce un’identità perfettamente allineata alle richieste del mercato, si può perdere il contatto con il proprio sé autentico. Il prezzo della performance rischia di essere pagato in termini di benessere psicologico e soddisfazione personale.
In un contesto in cui le aziende promuovono sempre più spesso valori legati all’autenticità e all’inclusione, la pressione per mantenere un’immagine impeccabile rimane paradossalmente alta. Il timore di essere giudicati poco professionali o inadeguati spinge molti a indossare maschere emotive che diventano difficili da togliere, anche fuori dall’orario lavorativo.
Un recente studio condotto dall’Università del Mississippi ha analizzato proprio gli effetti a lungo termine della costruzione e del mantenimento di una persona professionale sul posto di lavoro. Pubblicata su Industrial Marketing Management, la ricerca ha evidenziato come l’emotional labor incida negativamente sulla salute mentale e sul livello di soddisfazione professionale, con particolare attenzione al settore delle vendite.
Come riportato da Science Daily, i ricercatori Kash Afshar e Omar Itani hanno riscontrato che fingere emozioni per aderire agli standard aziendali porta a esaurimento emotivo, dissociazione dal sé e ridotta efficacia lavorativa. Più del 70% dei professionisti del settore vendite ha dichiarato di avere difficoltà legate alla salute mentale, complice anche il fenomeno della “customer injustice”, ovvero quando i clienti trattano male il personale. La pressione di performare sempre, sommata alla necessità di gestire relazioni difficili, porta a un consumo intenso di risorse emotive e cognitive.
Lo studio suggerisce che un ambiente di lavoro realmente supportivo può ridurre l’impatto negativo dell’emotional labor. Autenticità e benessere non sono solo desiderabili, ma essenziali per la sostenibilità a lungo termine della performance. La ricerca sottolinea l’importanza di coltivare spazi dove i dipendenti si sentano liberi di esprimere emozioni autentiche, senza temere ripercussioni. L’introduzione di pratiche come la mindfulness e il miglioramento della comunicazione interna possono rappresentare strumenti efficaci per prevenire il burnout.
Secondo Afshar, un passo fondamentale è anche l’allineamento tra valori personali e aziendali: quando l’identità dell’individuo è coerente con quella dell’organizzazione, il lavoro diventa più sostenibile. È in questa sintonia che risiede la chiave per ridurre il divario tra ciò che si è e ciò che si è costretti a mostrare.