UFFICIALE CASSAZIONE, Se hai una di queste malattie devi essere risarcito: è il tuo datore di lavoro a doverti dei soldi | Controlla la lista

Malattia e risarcimento illustrazione (Canva foto) - managementcue.it
Risarcimenti e doveri: cosa cambia per i lavoratori colpiti da malattie professionali, la sentenza storica della Cassazione.
Quando si parla di salute sul luogo di lavoro, le discussioni diventano spesso tecniche e complesse, ma non per questo meno fondamentali. La tutela dei lavoratori non si limita al rispetto formale delle norme: coinvolge diritti profondi, legati alla sicurezza e al benessere quotidiano di chi opera in contesti anche potenzialmente nocivi. Una nuova prospettiva legale sta ora facendo emergere un’ulteriore dimensione di questa protezione.
In Italia, il concetto di malattia professionale ha sempre avuto confini sottili, tracciati con cautela dai tribunali e dalla normativa. A differenza dell’infortunio sul lavoro, la malattia professionale nasce nel tempo, si insinua lentamente nella quotidianità del lavoratore e spesso risulta difficile da collegare in modo diretto all’attività svolta. Proprio questa difficoltà ha reso storicamente complesse le richieste di risarcimento.
Ma qualcosa sembra stia cambiando. Una recente decisione della Corte di Cassazione ha attirato l’attenzione del mondo giuridico e lavorativo, perché va a chiarire aspetti cruciali riguardo alla responsabilità del datore di lavoro. Non si tratta di un automatismo, ma di un principio che può segnare un punto di svolta per chi, per anni, ha subito silenziosamente gli effetti di un ambiente lavorativo inadeguato.
La chiave di volta, ora, è la capacità di dimostrare il nesso causale tra la patologia sviluppata e le condizioni professionali, ma anche l’eventuale mancanza di misure preventive da parte dell’azienda. È proprio questo passaggio che potrebbe aprire nuove vie per ottenere giustizia. Non più solo l’esistenza della malattia, ma l’intera catena di eventi e omissioni verrà esaminata.
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Il ruolo del datore e l’obbligo di prevenzione
Secondo l’ordinanza n. 4166 del 2025, la Cassazione ha precisato che l’obbligo del datore di lavoro non può considerarsi automatico: è necessario valutare se siano state rispettate tutte le precauzioni previste dall’articolo 2087 del Codice Civile. Non basta dunque ammalarsi sul lavoro per ottenere un risarcimento, ma serve provare concretamente l’inadeguatezza delle misure adottate.
Nel caso specifico analizzato dalla Corte, una lavoratrice ha invocato il risarcimento per una patologia discale lombare, presumibilmente causata da attività svolte in un asilo nido. Tuttavia, la Corte ha escluso la responsabilità del datore poiché, prima del 2007, la scienza non aveva ancora riconosciuto quei rischi specifici. Dopo quella data, invece, l’azienda aveva dimostrato di aver introdotto strumenti e strategie di prevenzione efficaci.
Prove concrete e decisioni definitive
La nuova sentenza della Cassazione mette in evidenza che solo se si dimostra che il datore di lavoro non ha rispettato le conoscenze tecnico-scientifiche del tempo, si può parlare di responsabilità. Come evidenzia Brocardi, è il giudice che, caso per caso, valuterà la presenza di negligenze. L’automatismo viene quindi superato in favore di un’analisi approfondita del contesto.
Per i lavoratori affetti da malattie riconducibili all’ambiente lavorativo, questa decisione può rappresentare una nuova strada per il riconoscimento dei propri diritti. Ma solo se supportata da elementi chiari, documentati e specifici.