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Economia e clima a braccetto: ecco perché la politica deve adattarsi all’emergenza

Adattarsi al clima che cambia non è più una scelta, è una necessità economica. Bisogna agire diversamente per convivere con quest’emergenza.

La stagione degli incendi in California, gli uragani che colpiscono le coste orientali degli Stati Uniti, le inondazioni che fermano intere filiere industriali sono scene ormai comuni, che però fino a poco tempo fa sembravano ancora “eccezioni”. Ora invece si parla di un nuovo fronte d’azione: non più solo contenere le emissioni, ma adattarsi ai danni ormai inevitabili. 

Come riportato da Reuters, l’attenzione è tutta rivolta alla COP30, in programma a novembre a Belém, in Brasile. Ma nel frattempo, si fa largo una certezza: il riscaldamento globale ha già superato 1,5 °C rispetto all’epoca preindustriale. E quindi bisogna fare i conti con un mondo più instabile. 

Eppure, nonostante il rischio altissimo, l’adattamento è ancora il fanalino di coda nei finanziamenti climatici. Secondo gli ultimi dati riportati in un reportage di Reuters, riceve meno del 10% dei fondi disponibili e copre appena un sesto dei danni attesi entro il 2030. 

Alcuni investitori, come quelli del network Ceres, stanno già orientando i capitali verso questa direzione. Il primo passo? Abbandonare la logica dei dati storici e adottare modelli predittivi che guardino avanti. Perché il rischio climatico accelera più in fretta di quanto mostrino i grafici del passato, e non tenerne conto espone a errori clamorosi di valutazione.

Rischi che si vedono solo con occhi nuovi

Un esempio concreto di questo cambiamento lo offre il mercato delle obbligazioni municipali. Fino a poco fa, si valutava la sicurezza di un titolo a 20 anni basandosi sulla storicità delle catastrofi naturali in quella zona. Ma oggi, con l’innalzamento del livello del mare, uragani più intensi e piogge imprevedibili, quel tipo di analisi rischia di essere fuorviante. Lo ha capito bene Breckinridge Capital Advisors, che ha aggiornato i propri modelli di valutazione integrando dati climatici forniti da agenzie esterne e proiezioni su diversi scenari futuri. 

Un altro approccio fondamentale riguarda l’analisi delle vulnerabilità lungo tutta la catena di approvvigionamento. Uno degli errori più comuni è infatti limitarsi a valutare i rischi diretti su impianti e sedi aziendali, ignorando i punti critici più lontani come miniere, porti, infrastrutture logistiche, comunità locali. 

Illustrazione di un’alluvione (Canva FOTO) – managementcue.it

Strategie d’adattamento

Come riportato da Reuters, di fronte a eventi come questi, alcune società di gestione patrimoniale si stanno attrezzando. È il caso di Impax Asset Management, con sede nel Regno Unito, che ha modificato le richieste di trasparenza ai propri investimenti. Non basta più sapere dove si trovano gli asset fisici vulnerabili: ora si pretende di conoscere i criteri con cui le aziende calcolano il valore a rischio, quali misure hanno preso per rendersi resilienti, e quali investimenti concreti sono stati fatti per prevenire interruzioni nella catena del valore. 

Stessa logica per IFM Investors, fondo australiano che gestisce un ampio portafoglio infrastrutturale. Ogni asset deve avere un piano di transizione climatica che copra sia la riduzione delle emissioni sia l’adattamento agli impatti. Solo così è possibile valutare con precisione il rischio effettivo, ma anche l’impegno reale delle aziende. 

Published by
Mattia Paparo