Negli ultimi anni, molte aziende hanno intrapreso – con più o meno convinzione – il percorso di digitalizzazione degli acquisti. Piattaforme e-procurement, cataloghi online, workflow automatizzati: strumenti che promettono maggiore efficienza, controllo e trasparenza. E in molti casi, questi vantaggi si realizzano davvero.
Ma c’è un passaggio cruciale che spesso viene sottovalutato: digitalizzare non significa automaticamente migliorare. Installare un software non basta. Senza un sistema di misurazione chiaro, rischi di avere un motore potente… ma senza bussola.
Un’azienda può aver eliminato gli ordini cartacei, centralizzato i fornitori e introdotto approvazioni digitali, eppure continuare a pagare troppo, subire ritardi ricorrenti o perdere sconti per ordini frammentati. Perché? Perché la tecnologia da sola non rivela i problemi nascosti: li rende solo più visibili, a patto di saperli cercare.
Un tempo, l’ufficio acquisti era visto come un centro di costo: il suo compito era “comprare al prezzo più basso”. Oggi, il procurement è diventato un leveraggio competitivo. Influenza la resilienza della supply chain, la sostenibilità ambientale, la compliance normativa e persino l’innovazione di prodotto.
Ma per passare da funzione operativa a partner strategico, serve una cosa sola: dati affidabili e indicatori condivisi. Non basta dire “abbiamo risparmiato”; bisogna sapere dove, come e a quale costo nascosto. È qui che entra in gioco la misurazione delle performance.
Immagina due scenari.
Nel primo, un responsabile acquisti dice: “Stiamo andando bene, i fornitori sono soddisfatti”.
Nel secondo, lo stesso responsabile mostra: “Il 78% degli ordini viene evaso entro 48 ore, il tasso di errori è sceso dal 6% all’1,2%, e abbiamo recuperato 120.000 euro in sconti volume non sfruttati”.
La differenza non è solo di stile: è di impatto. I numeri trasformano il procurement da costo invisibile a valore dimostrabile. E permettono di fare scelte informate:
Senza indicatori, ogni decisione è basata su impressioni, eccezioni o pressioni estemporanee. Con gli indicatori, diventa un processo continuo di miglioramento.
Non esistono KPI “giusti” in assoluto. Quelli utili dipendono da cosa vuoi ottenere.
L’importante è che gli indicatori siano semplici da raccogliere, condivisi con le altre funzioni (finanza, logistica, produzione) e aggiornati con regolarità. Solo così diventano strumenti di dialogo, non di giudizio.
Se stai iniziando a strutturare un sistema di misurazione per il tuo ufficio acquisti, partire da un quadro di riferimento chiaro può fare la differenza. A questo proposito, ti segnaliamo una guida approfondita sui kpi ufficio acquisti realizzata dagli esperti di RS: una risorsa pratica pensata per chi vuole trasformare il procurement da attività operativa a vera leva strategica.
Misurare non è solo una questione di software o dashboard. È una questione culturale.
Spesso, i team acquisti temono che i KPI siano usati per “controllarli” anziché per sostenerli. È compito della leadership chiarire che la misurazione serve a liberare tempo, ridurre frustrazioni e valorizzare il lavoro strategico.
Inoltre, i dati devono tornare utili a chi li genera. Un agente che vede come il suo intervento ha ridotto i tempi di consegna o evitato un fermo macchina sarà più motivato a usare la piattaforma, a rispettare le policy, a collaborare con i colleghi.
Adottare un sistema e-procurement è un passo fondamentale, ma è solo l’inizio del viaggio. Il vero valore emerge quando quei flussi digitali diventano fonte di insight, non solo di automazione.
Misurare le performance non è un esercizio burocratico: è il modo più efficace per capire se stai andando nella direzione giusta, per correggere rotta in tempo e per dimostrare il contributo reale del procurement al successo dell’azienda.
Chi lo fa con coerenza non solo ottimizza i costi: costruisce un vantaggio competitivo silenzioso, ma duraturo. E in un mercato sempre più complesso e volatile, è proprio questo tipo di vantaggio a fare la differenza.